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Invito
Seminario di studio
Storia, evoluzione e crisi del capitalismo italiano
Per ricominciare a fare una analisi materialistica e quindi efficacemente critica del capitalismo italiano, a partire dai suoi peculiari passaggi storici, per capirne la crisi attuale e i possibili sbocchi.
Con una relazione introduttiva di
Joseph Halevi
(Università di Sidney e Università di Torino).
e una relazione sulla crisi odierna del capitalismo italiano di
Gabriele Pastrello
(Università di Trieste)
a cui seguirà ampio dibattito.
Coordina Nicola Nicolosi
Il seminario si terrà
Sabato 17 Dicembre 2011 dalle ore 10.30 alle ore 18
Presso la Camera del Lavoro (sala Buozzi)
Corso di Porta Vittoria 43, Milano
Organizzano Associazione Culturale Punto Rosso, Rivista Progetto Lavoro, Cgil-Lavoro e Società
Per conferme e informazioni mapelli@puntorosso.it - 02/874324
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Appunti per il seminario di studio su evoluzione e crisi del capitalismo italiano
a cura di Joseph Halevi
(1) Secondo Marcello De Cecco nel suo “Economia del lucignolo” la crisi italiana affonda le sue radici nella caduta degli investimenti avutasi con la recessione della prima metà degli anni sessanta.
(2) La soluzione degli anni Settanta: inflazione e svalutazione con successo nell'export ma ulteriore indebolimento degli investimenti dinamici in settori innovativi.
(3) Validità della tesi di Luciano Gallino sul declino dell'Italia industriale e sulla sua finanziarizzione: la finanziarizzazione degli anni sessanta come causa dell'inizio del declino.
(4) Validità della tesi, poi giocata a destra, di Giuliano Amato elaborata nell'introduzione al volume da lui curato nel 1972 intitolato "Il governo dell'industria in Italia", il Mulino. Amato sosteneva che tale governo si fondava sul mantenimento deliberato, attraverso sussidi vari, delle industrie in uno stato pre-agonico.
(5) La tesi di Amato di allora é compatibile con quella di Gallino di oggi e si incontrano sul terreno della finanziarizzazione. La nazionalizzazione dell'energia elettrica negli anni sessanta ha comportato pagamenti di indennizzi tali da spostare il capitale privato verso interessi finanziari. Analogamente, il mantenimento delle industrie in uno stato pre-agonico pressoché permanente comportava la generalizzazione degli interessi finanziari in quanto queste industrie erano fonte di rendite costituite dai finanziamenti pubblici.
(6) Ne consegue che l'Italia "statalista" é stata in realtà un laboratorio della finanziarizzazione neoliberista.
(7) Quanto sopra dovrebbe spiegare perché l'economia reagisce male agli incrementi salariali del periodo 1968-73. Questi fanno aumentare la domanda reale ma le imprese, soprattutto quella maggiori, contano sull'inflazione e sulla svalutazione mentre chiudono gli investimenti.
(8) Verificare la tesi di Fuà (1974) circa la decentralizzazione produttiva per sfuggire ai vincoli salariali. Fuà considera il fenomeno come espressione di uno stato di persistente sottosviluppo del sistema industriale italiano. Quindi egli dava una valenza non proprio positiva della crescita numerica delle piccole imprese, valenza del tutto diversa da quella che dominerà nel quindicennio tra la fine degli anni 80 e la prima metà degli anni 2000.
(9) L'export diventa la soluzione dinamica dei problemi dell'accumulazione reale. Ma ciò tocca prevalentemente un gruppo di imprese di media grandezza e le piccole che fanno da satellite alle esportatrici.
(10) Che tipo di relazioni interindustrali input-output caratterizzano il sistema delle pmi? Come ha potuto l'Italia trasformarsi in un importante paese esportatore di macchinari e beni strumentali mentre il comparto dei beni capitali ha avuto un ruolo calante nel quadro macroeconomico del paese, soprattutto dalla metà degli anni 80 in poi?
(11) Europa e mondo per l'economia italiana. Fino agli anni 70 inclusi, il quadro delle esportazioni era determinato dall'Europa della CEE. Con Reagan e la trasformazione degli Usa in un'economia globale di importazione, attraverso il deficit estero, l'export extra-europeo assume un'importanza crescente in quanto lo SME trasforma l'eccedenza estera italiana in un deficit. Il deficit dello SME impone allo stato di finanziarlo attraverso l'importazione di capitali finanziari e ciò fa sballare il deficit pubblico ed il pagamento degli interessi sul medesimo (tesi di Graziani 1991, giustissima).
(12) L'importanza dell'export extraeuropeo aumenta dopo il crollo dello SME per la svalutazione della lira e per le bolle argentine, brasiliane e russe nonché per la bolla dotcom Usa e la politica di Greenspan. La Cina non si fa ancora sentire, tuttavia l’Italia non cresce, il suo tasso di accumulazione reale rimane basso e la performance dell'export non controbilancia il declino descritto da Gallino. In realtà è l'economia nazionale che si finanziarizza con le privatizzazioni.
(13) Analisi delle privatizzazioni e di sussidi che richiedono pesando sulle finanze pubbliche.
(14) La fase che si apre con l'euro riporta rapidamente l'Italia in deficit estero sebbene dovuto principalmente alle importazioni energetiche. Si struttura una zona tedesca di cui fa parte il nordest italiano come indotto avanzato della zona tedesca. Cessa ogni politica nazionale che non sia di rigore sulla spesa sociale e/o di sostegno alle rendite. Come si articola l'accumulazione? La deflazione salariale, in atto dalla fine degli anni 80 per gli addetti all'industria, non aiuta i conti esteri e riduce la dinamica interna. Il paese diventa periferico all'interno dell'UE sebbene parzialmente parte della zona tedesca. Si espone alla concorrenza delle esportazioni della Cina e alle delocalizzazioni. Irrilevanza per la solidità delle imprese della tanto desiderata deflazione salariale e della precarizzazione occupazionale.
(15) La crisi odierna.